Il virus SARS-CoV-2 e il nostro cervello

Care ragazze e cari ragazzi l'emergenza sanitaria dovuta alla pandemia di COVID-19, la patologia causata dal virus SARS-CoV-2, è terminata il 20 maggio 2023, quando l'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha ufficialmente dichiarato la fine dello stato di massima allerta. In tre anni di pandemia sono morte circa 7 milioni di persone. Questo è il dato ufficiale. Il numero di morti è superiore, ma attualmente a preoccupare di più la comunità scientifica sono gli effetti a lungo termine dell'infezione da SARS-CoV-2. La pandemia ci ha insegnato molto (leggi anche SARS-CoV-2 e la pandemia) e dal punto di vista medico-scientifico sono stati fatti progressi importanti nella vaccinazione a mRNA, ne parleremo. Non è un caso che il premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia 2023 sia stato assegnato a Katalin Karikó e Drew Weissman per le loro ricerche che hanno permesso lo sviluppo dei vaccini a mRNA (The Nobel Prize in Physiology or Medicine 2023).
Il virus SARS-CoV-2 provoca patologie a lungo termine che sono state chiamate "long-COVID" e "brain fog". Anche a distanza di mesi dall'infezione, alcune persone continuano ad accusare sintomi neurologici, psichiatrici e cognitivi. Si parla di una vera e propria sindrome di "long-COVID". Di cosa si tratta?

Immagine ripresa da Does COVID-19 damage the brain?.

Tra gli effetti collaterali del COVID-19 sono stati osservati casi di delirio, encefalopatia e ictus in pazienti ospedalizzati con sindrome acuta e alterazione dell'umore, ansia, insonnia e psicosi in pazienti che hanno avuto una forma più leggera della malattia. La percentuale di casi con questi disturbi insorti per la prima volta dopo l'infezione da SARS-CoV-2 è di circa l'11,5%. I medici hanno iniziato, quindi, a parlare di una patologia neurologica legata al COVID-19, denominata "brain fog". In alcuni casi i sintomi sono temporanei e scompaiono con la fine dell'infezione, in altri casi perdurano più a lungo. Gli studi sono ancora in corso, i ricercatori stanno seguendo molti casi in questo momento e i dati non sono ancora né esaustivi, né tali da rispondere a tutte le domande su questa sindrome neurologica a lungo termine. Visto, però, l'elevato numero di persone infettate dal virus SARS-CoV-2, sono molti coloro che potrebbero soffrirne. Questo preoccupa un po'.
Bisogna anche tener presente che disturbi di minore rilevanza, come il calo di attenzione o di memoria, sono spesso considerati non direttamente legati all'infezione da SARS-CoV-2 dagli stessi diretti interessati e sono per questo trascurati. I ricercatori stanno accumulando dati su quanto questo annebbiamento cerebrale sia comune durante e dopo l'infezione. Gli studi pubblicati sono in aumento e ben presto avremo una visione più chiara. In medicina, comunque, si parla già di PCC, cioè di "post-COVID condition".
Una delle domande a cui si vuole rispondere è come mai il virus SARS-CoV-2 provochi disturbi neurologici visto che si tratta di un virus respiratorio. Le ricerche per rispondere a questa e altre domande si basano su test cognitivi e analisi di immagini delle varie aree del cervello di pazienti affetti da COVID-19, sia durante l'infezione che a distanza di mesi. Cosa si è già scoperto?
Sono state osservate alterazioni a carico sia della materia bianca che grigia della corteccia cerebrale, probabilmente causate dallo stato di iperinfiammazione generato dal virus. In uno studio condotto nel Regno Unito, la corteccia olfattiva primaria è risultata ridotta in spessore. Questo dato è stato messo in relazione con la perdita di olfatto che si è verificata in molti individui. In realtà, le regioni del cervello che mostrano alterazioni sono parecchie e implicate in diverse funzioni. Per questo motivo i disturbi neurologici osservati sono molti e diversi.

Immagine ripresa da Zhao et al. (2023).
Nell'immagine sono evidenziate le zone del cervello più frequentemente colpite dagli effetti del COVID-19.

L'ipossia (mancanza di ossigeno) al cervello provocata dall'insufficienza respiratoria conseguente all'infezione da SARS-CoV-2 è una delle possibili cause dei disturbi cerebrali prima descritti. Sebbene il virus non sembri infettare i neuroni, la proteina virale "spike", con la quale il virus entra nelle nostre cellule, si lega con un recettore proteico presente in molte cellule (del polmone, del cuore, dei vasi sanguigni, dei reni, del fegato, dell'intestino) portando a un'infezione molto estesa che, a sua volta, scatena una risposta immunitaria massiccia. L'iperinfiammazione che ne consegue è, probabilmente, ciò che causa i danni cerebrali. Coloro che soffrivano di disturbi mentali prima dell'infezione sembrano particolarmente suscettibili alla sindrome dell'annebbiamento cerebrale dovuta al COVID-19. Inoltre, tutte le varianti prima della cosidetta omicron, sembrano essere maggiormente legate allo sviluppo di disturbi neurologici. Sebbene non esistano ancora studi su vasta scala, ci sono evidenze secondo le quali le persone vaccinate mostrano un tasso più basso di sintomi neurologici cronici rispetto agli individui non vaccinati che sono stati infettati dal virus.
È importante capire che, anche se siamo usciti dalla fase acuta della pandemia, il virus SARS-CoV-2 è ancora in circolo e lo sarà per molto tempo. Esistono vaccini che si sono dimostrati molto efficaci e ci hanno permesso di uscire dalla pandemia. Per evitare infezioni che potrebbero avere serie conseguenze sulla nostra salute è bene proteggersi con la vaccinazione. Da questo autunno possiamo effettuare la vaccinazione anti-COVID e anti-influenzale nella stessa seduta, facciamolo e staremo semplicemente meglio!

Referenze

Zhao et al. (2023) Effects of COVID-19 on cognition and brain health. Trends in Cognitive Sciences, 27: 1053-1067

Manuela Casasoli (manuela_casasoli@yahoo.it) - Pubblicato il 3 novembre 2023