Il clonaggio delle prime scimmie

Cari ragazzi è Lina Boullif della classe 3aD che mi ha spinta a riassumervi l'articolo che è uscito lo scorso 24 gennaio 2018 sull'importante rivista Cell e che descrive il procedimento con cui sono state ottenute le prime due scimmie clonate. Grazie Lina!
Non eravate ancora nati quando, nel 1996, Dolly, la prima pecora clonata, divenne una vera e propria superstar e il mondo scientifico iniziò a riflettere sulla possibilità di usare cloni di animali nella ricerca di base. Sono passati più di vent'anni e sono stati fatti progressi enormi che hanno permesso di clonare esemplari di 23 specie diverse, tra cui pecore, topi, bovini, gatti, ratti e cani. Finora, però, il clonaggio dei primati non aveva avuto successo. Per capire quanto sia importante il traguardo raggiunto rispondiamo a tre domande: perché è fondamentale lavorare con i cloni? Come sono state ottenute le due scimmie clonate? Quali sono le prospettive scientifiche che si aprono?
Abbiamo studiato che un clone è un organismo geneticamente identico ad un altro, tutte le basi del suo DNA sono uguali a quelle del suo organismo copia. Avere a disposizione organismi clonati significa, quindi, avere organismi geneticamente omogenei. Supponiamo di dover sperimentare l'efficacia di un farmaco e di progettare un esprimento in cui ci sia un gruppo di organismi trattati con il farmaco e un gruppo di organismi non trattati, che costituiscono il cosiddetto controllo negativo. Se il genoma degli organismi che formano i due gruppi trattato e controllo è omogeneo, in condizioni ambientali identiche, le differenze osservate nel gruppo trattato saranno dovute esclusivamente al farmaco testato. Nella ricerca medica avere a disposizione dei cloni può, quindi, non solo accelerare notevolmente gli studi sull'efficacia dei farmaci, ma renderli anche molto più facili da realizzare.



Le due scimmie clonate.
Immagine ripresa da Liu et al. (2018).

Vediamo ora come gli scienziati cinesi, autori dell'articolo dello scorso gennaio, hanno ottenuto i primi due cloni di primati. La loro procedura è iniziata con la coltivazione in vitro di fibroblasti fetali, ottenuti da un feto di scimmia. Gli scienziati sono partiti da queste cellule perché trattandosi di cellule provenienti da uno stadio precoce dello sviluppo del feto potevano essere più adatte ad essere riprogrammate per ritornare ad uno stato indifferenziato. In aggiunta a ciò, i fibroblasti sono cellule della pelle molto utilizzate in laboratorio e tali da poter essere geneticamente modificate. Questo significa che prima di procedere al clonaggio, il genoma può anche essere modificato in funzione delle esigenze dei ricercatori. Il fibroblasto fetale è stato quindi messo a contatto con un ovocita enucleato di una scimmia donatrice, cioè una cellula uovo a cui era stato tolto il nucleo. Mediante un procedimento molecolare è stata attivata la fusione tra le due cellule e il nucleo del fibroblasto fetale è così diventato il nucleo della nuova cellula embrionale. La tecnica utilizzata si chiama trasferimento nucleare di cellule somatiche (Somatic Cell Nuclear Transfer, SCNT). Prima del trasferimento dell'embrione nell'utero della scimmia che avrebbe svolto il ruolo di madre surrogata, gli scienziati hanno iniettato nell'embrione dei modulatori epigenetici. Cosa sono? Durante lo sviluppo embrionale il genoma subisce delle variazioni che non portano al cambiamento della sequenza del DNA, ma alla modifica chimica di alcune delle basi azotate. Questo fenomeno è molto importante per il corretto sviluppo embrionale (leggi anche Tutti pazzi per l'epigenoma). I ricercatori hanno così ottenuto 109 embrioni clonali che hanno impiantato in 21 scimmie. Sei delle scimmie hanno portato avanti la gravidanza, ma solo due macachi della specie Macaca fascicularis sono sopravvissuti fino alla nascita. Le due scimmie sono state chiamate Zhong Zhong (ZZ) e Hua Hua (HH). Le analisi genetiche hanno confermato che si tratta di due cloni geneticamente identici alle cellule di fibroblasti fetali, da cui la procedura è iniziata.

Procedura schematica delle fasi del clonaggio
Immagine ripresa da Liu et al. (2018).

Rispondiamo ora alla terza domanda: quali sono le prospettive scientifiche che si aprono? La ricerca medica ha in questo modo a disposizione un metodo più sicuro per testare i trattamenti terapeutici e la possibilità di ottenere modelli animali più efficaci per studiare molte malattie genetiche. Lavorare con i cloni riduce anche il numero di animali necessari per effettuare i test, proprio perché diminuisce la variabilità della risposta tra i gruppi di animali trattati e i gruppi controllo, non trattati. "This paper really marks the beginning of a new era for biomedical research", ha detto Xiong Zhi-Qi, un neuroscienziato che studia le malattie del cervello. I primati, infatti, sono i migliori modelli per lo studio del cervello umano e delle sue patologie degenerative. Gli studi sul morbo di Parkinson, per esempio, vegono condotti utilizzando centinaia di scimmie, ma in un futuro molto prossimo potranno essere svolti con solo una decina di cloni e condurre a risultati molto più chiari.

Referenze

Liu et al. (2018) Cloning of Macaque Monkeys by Somatic Cell Nuclear Transfer. Cell, 172: 881-887.
Cloning of Macaque Monkeys by Somatic Cell Nuclear Transfer.

First monkeys cloned with technique that made Dolly the sheep.

Manuela Casasoli (manuela_casasoli@yahoo.it)