OGM in Italia: la ricerca negata

Cari ragazzi ora che sapete cos'è un OGM (Organismo Geneticamente Modificato), come viene prodotto e quali sono i campi di applicazione, soffermatevi a leggere queste righe su quello che sta accadendo nel nostro paese. Poi, quando sarete un po' più grandi, studiate a fondo, da veri scienziati, la questione degli OGM e, per favore, fatemi sapere che idea vi sarete fatti.
Nel luglio 2013 il governo italiano ha vietato con un decreto la coltivazione di mais transgenico resistente alla piralide (leggi anche W gli OGM). Tra le dichiarazioni che hanno accompagnato il decreto si legge che "la nostra agricoltura si basa sulla biodiversità e la qualità e su queste bisogna continuare a puntare, senza avventure che anche dal punto di vista econonomico non ci vedrebbero competitivi". A parte il fatto che il mais selvatico non esiste in Europa, tanto meno in Italia, essendo originario del Messico, quindi non si capisce quale biodiversità si voglia preservare, quello che più colpisce è la mancanza di lungimiranza non solo scientifica, ma anche economica. Nonostante l'Italia abbia bandito la coltivazione del mais OGM, non bisogna dimenticare che mais e soia OGM sono legalmente importati nel nostro paese come mangimi per animali da allevamento ed entrano quotidianamente nella nostra filiera alimentare. Eh sì, perché non siamo autosufficienti per i mangimi e visto che non possiamo più coltivare quel mais che rendeva bene, ora bisogna comprarlo dai paesi che lo producono. Per continuare a "non capire" leggete questa storia.

La copertina del libro "Contro Natura" di Dario Bressanini e Beatrice Mautino.
Leggetelo, vi spiegherà in maniera semplice la storia di molti prodotti "tipici".
(http://ecx.images-amazon.com/images/I/81d4WzxIGQL.jpg)

La storia è quella di un OGM pubblico, italiano e addirittura ecosostenibile! Sviluppato e vietato da tempo! Si parla di mele.
Il melo domestico (Malus domestica), appartenente alla famiglia delle Rosaceae, è una pianta con origini asiatiche. Il melo ha una variabilità genetica molto elevata perché non è in grado di autoimpollinarsi e quindi deve ricevere il polline da un'altra pianta. La fecondazione tra individui diversi aumenta quella che i genetisti chiamano eterozigosità (data dal numero di geni in eterozigosi). Dal punto di vista della coltivazionde del melo, ciò implica che un melo che produce frutti di buona qualità deve essere innestato (riprodotto clonalmente e asessualmente) per continuare a produrre buone mele, altrimenti il crossing-over rimescola tutte le caratteristiche! I primi a selezionare le mele sono stati gli orsi del Kazakistan che preferivano mele dolci e grandi, disseminando così i semi delle piante che le producevano. La riproduzione sessuata del melo ha sempre garantito un'alta biodiversità genetica per questa specie. Basti pensare che esistono 20000 varietà, la maggior parte delle quali salvate nelle banche geniche in giro per il mondo. Le varietà di melo coltivate, al contrario, sono poche e rispondono alle richieste del consumatore. Le mele piccole, dolci e farinose sono spesso introvabili, mentre le grandi mele "croccanti", vanno per la maggiore. Le varietà di mele coltivate oggi sono per lo più coperte da brevetto. Per esempio la Gala, una delle mele più coltivate al mondo, è stata brevettata nel 1974, ma ogni anno se ne producono nuove varianti per mutazioni spontanee o per mutagenesi chimica o da radiazioni. Ciò viene fatto per soddisfare le richieste del consumatore. Acquistando una "Gala", come le altre mele commerciali brevettate, si comprano mutanti di mutanti, come succede per molti prodotti ortofrutticoli. Chi coltiva mele brevettate deve pagare una specie di affitto alla ditta che detiene il brevetto, per esempio per la Pink Lady® si pagano 10-12 euro ad albero. I brevetti non appartengono solo alle multinazionali, nel caso delle mele, per esempio, in Italia molti brevetti sono di proprietà di consorzi locali.

Se avete 20 minuti ascoltate la scienziata e senatrice a vita Elena Cattaneo
che parla al senato della Repubblica Italiana nel tentativo di esporre scientificamente la questione degli OGM.
(L'intervento della senatrice Elena Cattaneo)

Le belle e dolci mele che compriamo al supermercato devono la loro bellezza a fiumi di anticrittogamici. Esiste, infatti, un fungo di nome Venturia inaequalis, che è responsabile di una grave e molto diffusa malattia delle mele, nota come ticchiolatura. Se avete un melo nel vostro giardino sapete che le "vere mele biologiche", sono piccole, con la buccia tempestata di tante macchioline, spesso buone e dolci ma invendibili al "grande pubblico", che le vuole grandi, belle e croccanti. Prima del raccolto i coltivatori di mele effettuano anche fino a venti trattamenti per evitare la ticchiolatura. I coltivatori di mele biologiche non sono da meno. Usano prodotti chimici consentiti in agricoltura biologica, ma l'impatto ecologico ed economico è simile a quello dei coltivatori tradizionali.
I genetisti hanno trovato, però, in una specie di melo selvatico Malus fluribonda, un gene di nome Vf, che rende i meli naturalmente resistenti al fungo della ticchiolatura. Fin dal 1946 sono iniziati gli incroci tra i meli coltivati e la variante selvatica resistente, ma non si è mai riusciti a ottenere alberi che producessero mele grandi, dolci e scrocchianti. Il motivo lo sapete, con la riproduzione sessuata, non passa un solo gene da una generazione all'altra. Sono stati prodotti, così, dei meli resistenti alla ticchiolatura, le cui mele, però, non sono quelle che piacciono al consumatore.
Nel 2002, il gruppo di ricerca di Silviero Sansavini e Stefano Tartarini, dell'Università di Bologna, riesce a clonare il gene Vf, a trasferirlo dal melo selvatico a quello coltivato e ottiene le prime piantine di melo OGM con il gene proveniente dalla varietà selvatica. Decidono di non brevettare il gene, perchè sono scienziati e pensano che non sia giusto mettere un brevetto su un gene. Aspettano l'autorizzazione per coltivare in campo i nuovi meli. L'autorizzazione non è mai arrivata. Intanto in Olanda, con il gene di Sansavini e Tartarini, hanno iniziato la sperimentazione in campo e gli USA hanno già approvato mele OGM per il mercato. Questa mela bolognese "era" italiana, pubblica, sostenibile, andava incontro alle esigenze dell'agricoltore, dell'ambiente e del consumatore, mantenendo tutte le caratteristiche organolettiche delle mele "trattate" che compriamo ogni giorno. Non devo ricordarvi che poteva essere coltivata senza anticrittogamici, vero? Non devo ricordarvi che non avrebbe minimamente ridotto la biodiversità del melo, vero? Non devo ricordarvi che non era venduta da una multinazionale, con obbligo di ricomprare i semi, vero? Ma l'Italia "biologica" l'ha vietata.
Dal 2004 Sansavini e il suo gruppo non hanno più ricevuto finanziamenti per questa ricerca. Ma, purtroppo, non sono i soli. Nel 2011 è morto Francesco Sala, genetista e padre degli OGM italiani. Osò dire che "le biotecnologie e l'ingegneria genetica avrebbero potuto essere di aiuto ai prodotti tipici italiani" e riuscì a vedere i "suoi" pioppi resistenti agli insetti coltivati in Cina, non in Italia. Nel 2012 le piante di ulivo, ciliegio e kiwi OGM di Eddo Rugini, dell'Università della Tuscia, sono state distrutte (Un commento al rogo delle piante di Rugini). Più di trenta anni di lavoro bruciati in un rogo di antica memoria, ordinato da un governo miope e incompetente.
La nuova generazione di cittadini italiani sarete voi, cari ragazzi. Se volete avere un'opinione su un qualsiasi argomento dovete studiarlo. Ebbene, fatelo anche con gli OGM e diffidate di chi dice: "è contro natura". La natura bisogna studiarla e conoscerla per parlarne.

Referenze

Dario Bressanini e Beatrice Mautino (2015) Contro natura. Rizzoli. RCS Libri S.p.A., Milano.

Manuela Casasoli (manuela_casasoli@yahoo.it)