Homo naledi: un nuovo ominine nella culla dell'umanità
Cari ragazzi vi presento Homo naledi, l'ultimo arrivato tra gli ominini. Vi parlo di questa importante scoperta soprattutto
per sottolineare che il concetto di "anello mancante" è stato definitivamente spazzato via! Del resto, chi conosce l'evoluzione lo
sa già da molto tempo e, infatti, ne avevamo già parlato
(leggi anche
Homo sapiens: tutta una serie di circostanze). L'evoluzione del genere Homo è ramificata e molte specie umane
diverse hanno convissuto sul nostro pianeta. Non siamo, quindi, l'apice di nessuna trasformazione
lineare e progressista!!! Ma chi è Homo naledi?
Lee Berger è un paleoantropologo di origine statunitense diventato famoso nel 2010 per la scoperta di
una nuova specie di Australopithecus,
A. sediba, i cui resti fossili sono stati ritrovati in una zona del Sud Africa nota come "cradle of humankind", la culla dell'umanità.
Ebbene in questa stessa zona, nel 2013 il suo gruppo di ricerca ha scoperto una grotta dalla quale sono state recuperate
1550 ossa fossili, appartenenti ad almeno 15 individui diversi di una nuova specie di ominine.
La nuova specie è stata
chiamata Homo naledi, dal nome della "Dinaledi cave", la grotta del ritrovamento. "Naledi" in Sotho, una delle lingue parlate in Sud
Africa, significa "stella". La grotta è di difficile accesso, tanto che la raccolta dei 1550 fossili non è stata
per niente
facile. Sono servite due spedizioni speleologiche nel 2013 e nel 2014. Gli speleologi coinvolti hanno dovuto superare fessure schiacciate
procedendo con un braccio allungato in avanti e un altro lungo il fianco e cunicoli larghi appena 20 cm! Hanno così riportato alla
luce la più grande raccolta di ossa fossili di un nostro antenato mai rinvenuta in Africa!
Lee Berger e il cranio di Homo naledi (http://cdn.phys.org/newman/csz/news/800/2015/homonaledima.jpg) |
I 1550 reperti fossili rappresentano praticamente tutte le ossa del corpo, ripetute anche più volte. Questo ha permesso una ricostruzione
molto dettagliata delle caratteristiche anatomiche di Homo naledi.
La massa corporea (40-56 kg) e la statura (145-150 cm) di questo ominine sono paragonabili a quelle di popolazioni umane di
piccola taglia, ma le dimensini del cranio (465-560 cc) sono decisamente inferiori a quelle delle altre specie di
Homo e simili a quelle di Australopithecus. Il piccolo cranio di Homo naledi ha, tuttavia,
una morfologia unica, simile in alcune parti a
quella di H. erectus, H. habilis o H. rudolfensis. I suoi denti sono piccoli e la masticazione doveva essere
simile a quella delle prime specie di Homo. L'anatomia della mano e del polso non lascia dubbi, Homo naledi aveva una
capacità manipolativa del tutto simile a quella dei primi Homo,
così come il piede e l'arto inferiore sono del tutto simili a
quelli del genere umano. Queste caratteristiche contrastano però con quelle delle spalle, del bacino, del femore e delle dimensioni
del cranio che sono molto più primitive.
Le analisi morfologiche ed anatomiche hanno permesso di attribuire le 1550 ossa al genere Homo, ma di una specie finora sconosciuta.
Le similarità con i primi Homo, collocano questa nuova specie
nel momento della diversificazione del nostro genere e confermano che le capacità di manipolazione e il bipedismo
furono due caratteristiche essenziali nel nostro processo evolutivo.
La localizzazione della grotta in cui sono stati ritrovati i fossili. La camera Dinaledi si trova nel sistema carsico denominato Rising Star a circa 50 km da Johannesburg in Sud Africa. (http://www.focus.it/site_stored/imgs/0004/034/08_1120915web-800x800.jpg) |
La mano e il piede di Homo naledi sono stati studiati in dettaglio. Se da una parte la sua mano indica elevate capacità di manipolazione come in Neandertals e negli uomini moderni, le ossa delle dita sono più lunghe e maggiormente curvate, indicando che le mani venivano usate per arrampicarsi e rimenere attaccati come accade in specie arboricole. La morfologia della mano di Homo naledi è quindi in accordo con l'ipotesi secondo cui i primi ominini mantennero un arto superiore capace di garantire una vita arboricola, ma al tempo stesso adatto alla manipolazione. Allo stesso modo, il piede di Homo naledi è del tutto simile a quello del genere Homo, tipico di specie bipedi, ma un piede del genere non era mai stato trovato in una specie con una capacità cranica così piccola. Homo naledi è un vero e proprio mosaico di caratteristiche umane e australopitecine.
Le ossa fossili di Homo naledi. (Da Berger et al., 2015) |
I fossili sono stati recuperati da strati di argilla che si sono accumulati nella grotta nel corso del tempo. Considerando le
osservazioni fatte sullo stato di conservazione delle ossa e la mancanza di fratture, sembra probabile che i corpi fossero intatti
quando sono arrivati nella grotta, la decomposizione è iniziata solo successivamente. I ricercatori pensano che questi corpi
siano stati lasciati deliberatamente in questa grotta da altri ominini della stessa specie. Il numero dei reperti è molto
elevato, il che fa pensare ad un accumulo non casuale, sono presenti ossa di tutto il corpo, lo stato di conservazione è piuttosto
omogeneo, non ci sono segni dell'attività di qualche predatore, non ci sono segni di trasporto tramite flusso d'acqua, a parte le ossa di
qualche piccolo uccello e roditore, non ci sono altri reperti se non quelli degli ominini. Certo è solo un'ipotesi, ma è
molto intrigante. Infatti, l'ipotesi dell'accumulo volontario di questi corpi implica un
comportamento "culturalmente evoluto" che è,
al momento, difficile da attribuire ad un ominine primitivo come Homo naledi.
Ma primitivo quanto? Ecco l'importante domanda ancora senza risposta di questa scoperta.
Finora i ricercatori non sono stati capaci di fornire una datazione certa di
queste ossa fossili. Girano voci secondo cui i reperti risalirebbero a circa 2 milioni di anni fa,
ma non c'è ancora la prova definitiva. Bisogna aspettare!
Intanto possiamo aggiungere un altro esemplare all'albero "molto ramificato" dell'evoluzione del genere Homo, sicuri che Homo
naledi non è un anello mancante, ma una prova ulteriore della storia adattativa delle specie vissute sul nostro pianeta.
Manuela Casasoli (manuela_casasoli@yahoo.it)