Evoluti per il cancro?

La domanda che mi ha posto Riccardo Croccolino della classe 3a B è una di quelle che fanno discutere gli scienziati attuali: "Perché la selezione naturale non sconfigge il cancro?". Nel 2008 avevo letto un articolo che risponde proprio a questa domanda e che mi aveva molto impressionata. Ecco cosa diceva.
Il cancro è una malattia genetica alla cui base ci sono le mutazioni. Le mutazioni sono variazioni stabili della sequenza del DNA che, una volta casualmente comparse, vengono tramandate da cellula madre a cellula figlia in ogni divisione cellulare. Le mutazioni sono anche la materia prima dell'evoluzione biologica. Infatti, alla base della sopravvivenza di una specie c'è la necessità di mantenere una certa variabilità genetica tale da permettere l'adattamento a situazioni ambientali mutevoli. Per fare un esempio estremo: se una specie fosse geneticamente omogenea e improvvisamente comparisse un virus patogeno letale, quella specie sarebbe destinata all'estinzione. Se, invece, esistesse variabilità genetica alcuni genotipi potrebbero essere resistenti al virus e quindi potrebbero sopravvivere.
La selezione naturale, il meccanismo fondamentale dell'evoluzione darwiniana delle specie, ha permesso l'evolversi di adattamenti molto complessi eppure non è riuscita a "sconfiggere" molte malattie tra cui il cancro. Perché?

Divisione cellulare osservata al microsopio
(http://www.cbp.pitt.edu/faculty/yong_wan/images/main_cell_cycle.jpg).

Gli scienziati hanno scoperto che la seleziona naturale, in realtà, ha favorito alcune difese contro lo sviluppo di tumori ma sembra che non possa eliminarli del tutto. Cerchiamo di capire perché.
Il cancro è una malattia comparsa con gli organismi pluricellulari. Infatti da quando gli animali sono comparsi sulla terra, circa 700 milioni di anni fa, le cellule che formano il loro corpo si dividono e si specializzano dando origine a tessuti e organi differenziati e specializzati. Ogni cellula si divide tramite la mitosi fino a quando l'organo non ha raggiunto le dimensioni programmate nel DNA. Ad ogni divisione cellulare il DNA viene duplicato con il rischio che compaiano mutazioni potenzialmente cancerogene. Quando più mutazioni di questo tipo si accumulano in una cellula, questa può perdere la capacità di rispondere ai segnali chimici che inibiscono la sua crescita e la sua divisione. Si origina così una cellula impazzita che inizia a riprodursi in maniera incontrollata provocando un tumore. Le cellule tumorali, oltre a riprodursi senza controllo, riescono a determinare lo sviluppo di vasi sanguigni in modo tale da potersi rifornire costantemente di ossigeno. Si tratta di un vero e proprio adattamento evolutivo che porta le cellule tumorali a sopravvivere e riprodursi meglio delle cellule normali dell'organismo.
La selezione naturale ha portato allo sviluppo di particolari proteine chiamate proteine soppressori del tumore. Queste proteine funzionano così: quando "si accorgono" che una cellula non risponde più al controllo della divisione cellulare la inducono a "morire". Questo processo si chiama apoptosi cellulare o morte cellulare programmata. Il meccanismo sembrerebbe perfetto. Tuttavia gli scienziati hanno scoperto che un'attività troppo elevata delle proteine soppressori del tumore determina l'invecchiamento precoce dell'organismo. Quindi la selezione naturale ha fatto in modo che queste proteine potessero evolversi per monitorare la divisione delle nostre cellule ma entro certi limiti altrimenti la nostra vita sarebbe troppo breve!

Cellule di un cancro al seno
(http://ashoutinthestreet.files.wordpress.com/2009/06/breastcancercells.jpg).

Un'altra strategia di difesa è quella di ritardare lo sviluppo dei tumori. Sembra infatti che alcuni tumori possano svilupparsi solo se nella cellula si accumula un certo numero di mutazioni. Ciò fa sì che molti tumori si sviluppino in età avanzata quando ormai l'individuo si è gia' riprodotto e, in termini evolutivi,...può anche morire! Questo spiega perché molti tumori ad elevata incidenza insorgono in età avanzata mentre i tumori giovanili sono, in genere, molto più rari. La selezione naturale ha così limitato i danni, per così dire, selezionando tumori che compaiono nell'età adulta.
Gli scienziati hanno scoperto che alcuni geni, che ci differenziano dalle scimmie antropomorfe e che nella nostra specie si sono evoluti molto rapidamente, sono spesso coinvolti nella formazione dei tumori. Paradossalmente ciò significa che ciò che ci rende umani, in realtà, rappresenta anche un punto debole della nostra specie! Per esempio esiste un gene chiamato FAS ("fatty acid synthase"), che serve per sintetizzare acidi grassi importanti per la formazione delle membrane cellulari. In Homo sapiens questo è uno dei geni che più si differenzia in sequenza dal corrispondente gene delle scimmie antropomorfe e sembra essere coinvolto nello sviluppo del cervello. Ebbene in molti tumori questo gene è mutato e la proteina codificata viene prodotta in maggiore quantità e sembra essere importante per bloccare l'apoptosi delle cellule tumorali. In altre parole è proprio questo gene che permette la sopravvivenza delle cellule tumorali nella fase iniziale del loro sviluppo. E' questo il punto che più mi aveva impressionata: è come se il tumore si fosse evoluto all'interno dell'organismo di Homo sapiens "sfruttando" a suo favore alcuni dei geni che ci rendono umani!!!
"Natural selection is not natural perfection", diceva all'inizio l'autore dell'articolo. Gli scienziati hanno capito che la formazione e lo sviluppo di un tumore è a tutti gli effetti un processo di evoluzione cellulare e una delle innumerevoli vie intraprese per sconfiggere il cancro è proprio cercare di capire a fondo l'evoluzione.
Questo articolo risponde bene alla domanda di Riccardo facendoci riflettere sul fatto che le nostre naturali linee di difesa dal tumore, sviluppate dalla selezione naturale, non sono per ora sufficienti a difenderci da questa malattia e molto probabilmente..."la lotta per la sopravvivenza al tumore" è ancora in corso!

Referenze
Carl Zimmer (2008) Evolved for cancer?. Scientific American, Special Edition, 18: 15-21.

Manuela Casasoli (manuela_casasoli@yahoo.it)