Come difendersi dai terremoti

Gli scienziati affermano che allo stato attuale delle conoscenze non è possibile prevedere un terremoto né nello spazio, né nel tempo. Tuttavia si possono adottare misure per cercare di diminuire gli effetti catastrofici di un sisma. E' proprio questo il campo in cui la ricerca scientifica sismologica si sta maggiormente concentrando. Lo scorso 11 marzo le immagini dello spaventoso terremoto giapponese hanno fatto il giro del mondo, ricordandoci, ancora una volta, la nostra estrema vulnerabilità nei confronti della forza della natura. Ci siamo anche resi conto che i danni del sisma giapponese non sono derivati dal terremoto in sé, ma dal conseguente tsunami. E' evidente che se gli edifici vengono costruiti secondo le norme antisismiche possono sopportare anche le sollecitazioni di un sisma di 8,9 di magnitudo. Cosa si può fare allora per cercare di mitigare i danni conseguenti ad una scossa come quella dell'11 marzo?

L'11 marzo 2011 un terremoto di magnitudo 8,9 ha colpito il Giappone. Le immagini e i video diffusi su internet hanno impressionato il mondo intero.
(https://lh5.googleusercontent.com/-ulzXq0o9ZXQ/TX-PkyEysyI/AAAAAAAAEJM/u7cFVKRSais/s1600/japan-earthquake-2011-3-11-9-30-5.jpg)

Il terremoto si origina quando masse rocciose si muovono nel sottosuolo, in corrispondenza delle faglie, cioè delle linee lungo le quali si incontrano le placche tettoniche, che formano la crosta terrestre. Sappiamo, infatti, che esistono zone più o meno sismiche in funzione della maggiore o minore vicinanza alle faglie. Il Giappone e la California, per esempio, essendo posizionati in corrispondenza di faglie sono aree ad elevato rischio sismico. In queste regioni gli edifici devono essere costruiti rispettando rigorosi criteri antisismici. Il Giappone è all'avanguardia in questo campo e infatti nelle sue grandi metropoli, anche scosse telluriche molto forti non provocano in genere grossi danni. Ma tutto ciò non è sufficiente, come ci dimostra il disastro dell'11 marzo.
I terremoti, essendo prodotti da processi di frattura della crosta terrestre, rilasciano l'energia accumulata in forma di onde elastiche, dette onde sismiche. I terremoti sono caratterizzati da due tipi di onde sismiche: le onde P (primarie o longitudinali) che si propagano nella crosta terrestre con una velocità di 6-7 km/s, e le onde S (secondarie o trasversali), che viaggiano con velocità minori, intorno a 3-4 km/s. Le onde S sono più lente ma più distruttive, in quanto hanno un maggiore contenuto di energia. Sfruttando questa differenza di velocità delle onde P e S, gli scienziati hanno messo a punto dei sistemi cosiddetti di "Early Warning", cioè di allerta precoce. Questi sistemi funzionano in questo modo: nelle zone al alto rischio sismico, viene dislocata una rete di sensori capaci di rilevare le onde P. Grazie a queste onde è possibile identificare l'epicentro e la magnitudo del terremoto. Il sistema di sensori sfrutta quindi il ritardo delle onde S per lanciare un'allerta prima che queste arrivino nelle zone interessate. Si tratta di pochi secondi, quindi vediamo cosa consente di fare un'allerta precoce.

La mappa dei sistemi di allerta precoce.
(http://seismo.berkeley.edu/~rallen/research/elarms/generalstuff/eewAroundWorld600.gif)

Nel giro di 0-5 secondi dall'allerta è possibile far scattare il segnale rosso su semafori che attraversano ponti o infrastrutture vulnerabili. Dopo 5-15 secondi, nelle case e negli edifici pubblici, la popolazione può iniziare a mettersi al sicuro (sotto i tavoli, lontano da oggetti che possono crollare). A lavoro, possono essere interrotte attività pericolose, i computer possono attivare le procedure di back-up (salvataggio dei dati). Nel giro di 15-20 secondi gli impianti pericolosi, con sostanze tossiche o infiammabili, possono attivare un blocco di sicurezza. Entro i 20-30 secondi dall'allerta possono essere sospese le attività nelle sale operatorie degli ospedali. Tra i 30 e 40 secondi possono essere rallentati i treni ad alta velocità per prevenire deragliamenti e possono essere bloccate le operazioni di atterraggio e decollo degli aerei.
Lo scorso 11 marzo l'isola di Honshu è stata colpita da uno dei più violenti sismi dell'ultimo secolo. Il terremoto, di magnitudo 8,9, ha avuto origine da una frattura, che si è formata a circa 24 km di profondità sotto l'oceano, a circa 130 km dalla costa orientale dell'isola. Il sistema di allerta precoce, già funzionante in Giappone, ha emesso un'allerta automatica dopo 28 secondi dall'origine della frattura nell'epicentro. L'allerta diffusa con ogni mezzo di comunicazione ha raggiunto la popolazione 10-60 secondi prima dell'arrivo delle onde sismiche distruttive. Molti si sono salvati perché in questi secondi preziosi si sono messi al riparo in aree sicure. Gran parte dei treni nella zona interessata è stata rallentata. Purtroppo la centrale nucleare di Fukushima non era dotata del sistema di allerta precoce...Se fosse stato utlizzato, si sarebbe potuto evitare il disastro nucleare? Non lo so, ma la domanda sorge piuttosto spontanea. Inoltre ci si chiede perché in Giappone, dove vengono fatti sforzi enormi per l'architettura antisismica, il sistema "Early Warning" non è ancora attivo in centrali nucleari come Fukushima?
Questo sistema di allerta precoce è in sperimentazione anche in Italia. La speranza è che gli scienziati possano ottimizzarlo per riuscire a mettere in salvo il maggior numero possibile di vite umane dopo una scossa di terremoto. Se gli edifici venissero costruiti secondo le norme antisismiche e il sistema di allerta precoce funzionasse a dovere, forse potremmo evitare tragedie come quella della casa dello studente all'Aquila.

Referenze
Iervolino I., Gasparini P., Manfredi G., Zollo A. (2011) A pochi secondi dal sisma. Le Scienze, 512: 46-54.

Cattaneo M. (2011) Domare i terremoti. Le Scienze, 512: 9.

Manuela Casasoli (manuela_casasoli@yahoo.it)